La scuola che vorrei è una scuola che progredisce, che con il passare dei giorni evolve, una scuola al passo con i tempi, che non vive di metodi tradizionali, che avanza con naturalità come le lancette dell’orologio. Una scuola proiettata nel futuro, che concede, anzi rispetta e ricerca metodi discordanti da quelli più consueti. Una scuola che vede nell’arretratezza una barriera, un limite da superare, un trampolino su cui volare, come la famosa siepe per Giacomo Leopardi.
In parte questo mio piccolo sogno visionario si è avverato, ma vorrei – e spero con tutta me stessa – che lo strumento di cui ora vi parlerò, un piccolo mezzo che ha permesso la realizzazione della mia fantasticheria, non sia più considerato “anticonformista” ma diventi la realtà, il presente e futuro di chiunque sia disposto a crescere e aprire i suoi orizzonti culturali.

Il Kamishibai* è stato come una chiave, una grossa chiave dorata che ha aperto davanti a me un nuovo mondo, insolito e lontano dalle usanze ordinarie, ma a dir poco straordinario. Perché cambiare non deve essere pericoloso, sgradevole o difficile, ma semplicemente necessario.
Il Kamishibai è il veicolo di una forma di narrazione itinerante nata nel Giappone del XII secolo, una sorta di teatro portatile, in legno, attraverso il quale dare vita a storie illustrate: i monaci buddisti nei templi si servivano degli Emakimono, antichi antenati del Kamishibai, per raccontare storie piene di insegnamenti morali a un pubblico principalmente analfabeta. Nel tempo il Kamishibai si è evoluto fino ad arrivare alla sua forma moderna, costituita da un Butai, un vero e proprio teatrino in legno, e tavole con le illustrazioni e il testo che il Kamishibaia, il narratore, racconta al suo pubblico. Mi ricordo con chiarezza tutte queste nozioni di storia perché sono state l'inizio e il pilastro portante della mia tesina, tutte queste parole sono impresse nella mia mente da quando, un giorno, decisi che l’argomento che meglio mi avrebbe identificato e valorizzato sarebbe stato proprio il Kamishibai. Capii che mi piaceva veramente sedermi dietro al teatrino e leggere, abbandonandomi a tutte quelle parole che scorrevano come un fiume in piena, perché l'energia che sento e che vedo quando il Kamishibai viene letto è un’energia impareggiabile, una perfetta sinfonia. Quel martedì, infatti, in piedi in mezzo a quell’aula semivuota, ascoltando il rimbombo della mia voce la sentii. In poche parole, quel pomeriggio davanti ai miei professori ero diventata anche io un’insegnante, spiegavo convinta e sicura il mio lavoro, in quei venti minuti insegnai loro tutto quello che sapevo e in cui credevo senza un libro di testo.
Fu da quel giorno che compresi quanto ogni oggetto che ci circonda, se guardato da una prospettiva differente, può diventare qualsiasi cosa la nostra immaginazione sia pronta ad accogliere. Sono sicura, infatti, che l’utilizzo del Kamishibai come metodo didattico sia un’idea a dir poco geniale, nuova nel suo fare uso di uno strumento antico…
La scuola che vorrei fa questo: trova vie nuove per facilitare gli apprendimenti. L'importante è che ognuno scenda dal proprio piedistallo di pregiudizi e abitudini, aprendo le porte all’innovazione! 

*Il Kamishibai Artebambini in collaborazione con AKI (Associazione Kamishibai Italia) promuove, diffonde e tutela la tradizione dell'antico strumento del teatro portatile giapponese in Italia e ne fa veicolo di nuove narrazioni e di didattica.

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