Il Sole illumina e riscalda la Terra da cinque miliardi di anni, irradiando l’energia indispensabile a mantenere il clima temperato del pianeta e sostentare la vita che vi prospera. Su scala umana è una fornace immensa, corrispondente a quasi mezzo miliardo di miliardi di centrali elettriche.

Sebbene il dibattito sulla fonte apparentemente inesauribile di quest’energia sia stato al centro della riflessione scientifica per tutto il XIX secolo – un dibattito esauritosi nell’impossibilità di spiegarne il funzionamento per il tempo lunghissimo di centinaia di milioni d’anni invocato dalla geologia e dalla biologia evolutiva – la prima teoria convincente sul funzionamento del Sole risale solo agli anni Trenta, come corollario delle conquiste della fisica nucleare. 

molecola idrogeno

©  Danijela Maksimovic/Shutterstock

L’idea vincente era apparsa alcuni anni prima, quando fu possibile dimostrare che un nucleo di elio-4 è più leggero di quattro protoni. Da questo Arthur Eddington, poggiandosi sul concetto relativistico di equivalenza tra massa ed energia, poté congetturare che la trasformazione di protoni in elio avrebbe potuto alimentare il Sole per il tempo invocato dalle scienze naturali. Aveva ragione, ma negli anni Venti l’ipotesi rimase poco più d’una suggestione, essendo in quel momento impossibile elaborare un plausibile meccanismo di trasformazione. Con le fondamentali scoperte di Celiclia Payne – che per prima dedusse correttamente dai dati spettroscopici il fatto che l’elemento predominante nel Sole fosse proprio l’idrogeno – e con la scoperta della fusione nucleare – il fenomeno per il quale due nuclei leggeri si legano per formarne uno più pesante rilasciando una cospicua quantità d’energia sotto forma di radiazione e calore – la strada era spianata.

L‘energia e la struttura del Sole

Hans Bethe negli anni Trenta riuscì per primo a imboccare la strada giusta, ipotizzando due meccanismi diversi attraverso i quali l’idrogeno diventa elio passando per una successione di stadi intermedi. Altri teorici hanno aggiunto tasselli importanti, ma dobbiamo a Bethe le idee essenziali. È forse meno noto che la prova sperimentale che il cuore del Sole sia una fornace termonucleare è assai più recente: oggetto di una intensa e fruttuosa indagine sperimentale negli ultimi tre decenni, l’ultimo tassello è stato posto da alcune misure eccezionali dell’esperimento Borexino nel 2020.

Bethe propone sin da subito due meccanismi distinti, sebbene inizialmente ne inverta la rilevanza per il Sole. Uno di questi, detto catena protone-protone, è avviato dalla fusione di due protoni in un deutone(il nucleo dell’isotopo dell’idrogeno formato da un protone e da un neutrone), un fenomeno rarissimo che nel Sole avviene grazie alle leggi della meccanica quantistica ed in particolare al ruolo dell’effetto tunnel. È l’effetto tunnel a rendere la reazione straordinariamente lenta e a consentire al Sole di funzionare per ben dieci miliardi d’anni prima che il suo combustibile si esaurisca. Bethe identifica solo una delle possibili strade attraverso le quali la catena si sviluppa. Altre due saranno scoperte nel Dopoguerra, una coinvolgente il berillio-7 e un’altra il boro-8. 

Hans Bethe foto

Hans Berthe riceve il premio Nobel per la fisica nel 1967 dal re Gustavo VI Adolfo - © Matteo Omied/Alamy Stock Photo

Bethe identifica anche un secondo diverso meccanismo, che oggi indichiamo con ciclo CNO dal simbolo chimico dei composti carbonio, azoto e ossigeno. In tale ciclo la reazione complessiva è ancora quella di convertire quattro protoni in elio attraverso l’azione catalizzatrice di C, N e O, secondo una sequenza circolare di processi di fusione e decadimenti radioattivi in cui un nucleo di carbonio si trasforma prima in azoto, poi in ossigeno per poi tornare carbonio, emettendo complessivamente un nucleo di elio, neutrini ed energia.

Bethe attribuisce al ciclo CNO il ruolo dominante perché negli anni Trenta poco si sa ancora della composizione chimica del Sole e, soprattutto, della sua temperatura centrale e i dati che circolano sono errati. Le prime stime suppongono un Sole molto più caldo al centro, da cui (giustamente) Bethe conclude che sia proprio il ciclo CNO a fornire il contributo maggiore all’energia. Negli anni successivi il quadro teorico si chiarisce, nuove misure spettroscopiche forniscono dati migliori sulla composizione solare e le stime sulla temperatura centrale scendono. Risulta quindi chiaro, solo su base teorica, che nel Sole la catena protone-protone sia dominante, mentre il ciclo CNO debba essere il processo fisico essenziale per le stelle di massa maggiore e quindi più calde.

Fig. 1 ©NASA/Jenny Mottar 

Il modello solare che ne esce è quello mostrato in Fig. 1. Una struttura a cipolla divisa essenzialmente in quattro parti distinte:

1.   nucleo

2.   zona radiativa

3.   zona convettiva

4.    fotosfera

Nel nucleo, temperatura e pressione sono tali da alimentare le reazioni nucleari; è lì che nasce l’energia. Tale energia si trasmette sotto forma di radiazione nella zona per questo detta radiativa, mentre si trasmette principalmente per ebollizione in quella convettiva. La fotosfera è un sottile strato esterno, l’unico visibile ai nostri occhi per mezzo dei fotoni. Tutto il resto è invisibile agli occhi.

Fino a tutti gli anni Settanta questo quadro è solo teoria. Teoria solida e ben verificata dagli studi delle popolazioni stellari, ma pur sempre teoria. Come verificare questo magnifico castello teorico? Come dimostrare che davvero esistono due cicli e che il Sole funziona come ipotizzato? 

Queste domande erano e sono difficili. La maggior parte delle reazioni solari non sono riproducibili in laboratorio, men che meno lo erano negli anni Cinquanta. Possiamo riprodurne alcune a energia maggiore  di quelle in atto nel Sole, come ha fatto con successo l’esperimento Luna ai Laboratori del Gran Sasso in anni recenti, ma le reazioni alla vera energia solare sono troppo rare per poterle studiare direttamente in laboratorio. 

La risposta a queste cruciali domande è arrivata grazie ai neutrini

L’importanza dei neutrini solari

I neutrini sono le uniche particelle conosciute sensibili alle sole forze nucleari deboli e hanno quindi proprietà sorprendenti. Avendo interazioni debolissime con la materia ed essendo emessi in numero enorme dalle reazioni nucleari che alimentano le stelle, i neutrini arrivano quasi indisturbati fino a noi e ci consentono di penetrare, con gli occhi dei nostri strumenti, nel cuore del Sole. I rivelatori di neutrini sono occhi preziosissimi con cui vediamo cose altrimenti invisibili. L’ineffabilità del neutrino ne rende però difficilissima l’osservazione: per vederli bisogna proteggersi dall’intensa radiazione cosmica presente sulla superficie terrestre, installando gli strumenti in laboratori sotterranei profondi, ed è necessario che gli strumenti stessi siano purificati dalla radioattività naturale presente in ogni materiale. Il livello di purificazione necessario è enorme, almeno di un miliardo di volte rispetto all’aria o all’acqua di una fonte purissima. 

Non è qui possibile ripercorrere la storia degli esperimenti che hanno studiato e rivelato i neutrini solari. Sottolineiamo solo che hanno già portato a due premi nobel (Ray Davis nel 2002 e Art MacDonald nel 2015) e che quasi tutti hanno studiato una piccola porzione del flusso dei neutrini solari, quelli emessi dal decadimento del boro-8; una porzione preziosa, ma comunque una piccola parte del totale e del tutto insufficiente a dimostrare la fondatezza del quadro teorico, portato quasi alla perfezione dall’infaticabile contributo di John Bahcall. Fanno eccezione i due esperimenti con il gallio, Gallex/GNO al Gran Sasso e SAGE in Russia, che hanno misurato l’intero spettro di neutrini solari, ma solo come somma complessiva, senza poter distinguere tra le varie componenti. Tappa fondamentale e preziosissima, ma comunque incompleta.

L’esperimento che ha potuto misurare tutte le componenti rilevanti dello spettro solare è Borexino, allestito nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Per mezzo di una tecnica basata sull’uso di uno scintillatore liquido organico ultra-puro, Borexino ha potuto misurare una per una tutte le componenti dello spettro dei neutrini solari, sia quelli della catena protone-protone sia quelli associati al ciclo CNO.  Grazie alla sua straordinaria, e per ora ineguagliata, radiopurezza, Borexino ha misurato il flusso delle quattro diverse componenti di neutrini emessi dalla catena protone-protone, con la quale ha dimostrato la solidità del modello solare e confermato il fatto che i neutrini, durante il loro viaggio dal centro del Sole fino a noi, si trasformano di specie, secondo un meccanismo quantistico raffinato, detto oscillazione di neutrino

Negli ultimi anni la fantastica purezza dello scintillatore, una serie di raffinate stabilizzazioni termiche applicate allo scintillatore stesso, e l’uso di sofisticate tecniche d’analisi hanno consentito la misura dei neutrini emessi dal ciclo CNO, dimostrandone l’esistenza nel Sole e dimostrando che quindi questo ciclo, quello principale per le stelle più pesanti del Sole, in natura esiste davvero
La ciliegina sulla torta è che recentissimi risultati del 2022 indicano anche che il contenuto di CNO nel Sole indica che il contenuto di elementi pesanti  potrebbe essere piuttosto alto.

Borexino ha completato il suo lungo viaggio scientifico dimostrando l’esistenza di entrambi i meccanismi proposti da Bethe, chiudendo una vicenda antica di secoli. Altri verranno per migliorare la nostra conoscenza del Sole, ma il punto di partenza di ogni futuro lavoro sarà il punto a cui è arrivato Borexino. 

Referenze iconografiche: © Lukasz Pawel Szczepanski/Shutterstock; ©  Danijela Maksimovic/Shutterstock; © Matteo Omied/Alamy Stock Photo