Il movimento come misura del limite

Sarà probabilmente capitato a qualcuno di voi di osservare un bambino alle prese con giochi virtuali di ultima generazione. Lo sguardo intenso verso lo schermo, movimenti velocissimi e spesso abili delle dita, di un braccio, delle gambe nell’intento di simulare un’azione reale (calcio, sci, hockey su ghiaccio, una partita di bowling, una corsa, ecc.) con finalità agonistiche.
L’abitudine dei bambini a entrare in confidenza con tecnologie digitali va inevitabilmente a braccetto con l’immersione in esperienze per lo più decorporizzate, dove il rischio è che non ci si misuri più con i propri reali limiti corporei e dove la relazione, virtuale, passa per il solo senso della vista.
Eppure i limiti sono strumenti fondamentali di crescita, soprattutto se intesi non come mero vincolo statico, ma come meccanismi dinamici che rimandano al bambino il senso del suo sé. L’esperienza del limite contiene cioè il senso della gradualità e della regolazione tonica che deriva dall’incontro con l’altro, sia esso oggetto o persona.
Ma accade che il corpo a scuola, imbrigliato nel banco per molte ore al giorno, faccia esperienza del limite come sola mancanza – “Non muoverti!” – ed esploda poi il bisogno di spazio nei momenti di liberà o, meglio, di pura decompressione.
Il corpo esplode anche nel bisogno del contatto con l’altro, che si fa perciò spesso maldestro, non misurato, poco calibrato, talvolta violento proprio per la scarsa dimestichezza al confronto fisico. Come, dunque, poter educare al limite e alla sua regolazione senza arrivare all’esplosione?

Piccoli ricercatori del movimento 

Un possibile modo consiste nel mettere i bambini in contatto con il piacere che nasce dal nostro primo senso: il senso del movimento, a partire già, se possibile, dallo spazio aula, dalla lezione quotidiana.
I bambini vengono volentieri incantati, affascinati dal movimento, anche in forme complesse, per esempio nell’osservazione di una danzatrice, un atleta, un acrobata al circo, un meccanico al lavoro. Un incanto quasi contemplativo.
I bambini sono, per natura, piccoli ricercatori del corpo, perché con il movimento esplorano, misurano, sentono, conoscono. E questa abilità può essere sostenuta, rinforzata da noi adulti, anche a livello valoriale. Già un adulto che non dà per scontato il rapporto con il proprio corpo, ma fa capire che lo ascolta, lo esplora, sente, cerca, si mette in discussione, è un adulto che li guida e li sostiene in questo atteggiamento.

È già danza

L’imparare ad assaporare, a gustare un movimento come si lecca un gelato o si esegue un disegno sulla sabbia, mettendosi dunque in contatto con il proprio senso cinestetico è possibile e non richiede competenze particolari, ma solo un genuino atteggiamento di ascolto, sia dell’adulto che del bambino, e la voglia di ricercare. Ed è già fare, in nuce, esperienza di danza.
Danza intesa non come il raggiungimento di una forma corporea, ma come l’entrare semplicemente in relazione, nel gusto dell’espressione di sé che connette il dentro e il fuori. È lo sguardo che abbiamo sulle cose, le domande che nascono in noi dall’osservazione che ci trasformano in piccoli ricercatori.
Ascoltare la nostra posizione nello spazio in cui siamo, anche ora che leggiamo o scriviamo, la posizione della nostra colonna vertebrale, lo stato di tensione muscolare, gli appoggi alla sedia, la posizione dei piedi sul pavimento. Allenarsi al contatto con l’altro, studiando le possibilità e i vincoli delle leve naturali del corpo e provando a osservarne il movimento. Entrare in relazione con l’altro attraverso lo sguardo, il contatto, l’udito (appoggiando l’orecchio sul suo cuore, ad esempio), l’olfatto, osservando non tanto il “che cosa” si fa ma il come., per il puro gusto di sperimentare. Riconoscere la forma della propria mano, il volume e la forma delle ossa del compagno. Interrogarsi: “Come cammino? Come corro? Come salto? Come…?”.

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