Educazione motoria alla scuola primaria: molto più che “fare sport”!
Il contributo dell’educazione motoria allo sviluppo della persona e dei processi di costruzione di sé.
Quando parliamo di educazione motoria ci vengono in mente la palestra, l’allenamento degli addominali, lunghe partite a palla prigioniera, percorsi ad ostacoli e giochi a squadre. In generale cioè questa espressione evoca nella nostra memoria elementi connessi con il mondo dello sport.
Come docenti sappiamo bene però che nelle due ore settimanali dedicate a questa disciplina avviene molto di più. Questo contributo vuole riflettere sulla ricchezza che le proposte di educazione motoria possono portare per attivare i bambini in molteplici processi di apprendimento e di crescita personale e offrire un’UdA che accompagni i docenti nell’esperienza concreta.
di Laura Papetti con Marisa Vicini
Alcune premesse
Prima di approfondire l’argomento chiariamo: la differenza fra generalisti e specialisti e la questione terminologica: educazione fisica o educazione motoria? In realtà stiamo parlando della stessa disciplina, introdotta nel mondo della scuola dalla Legge Casati del 1861, modificatasi nel tempo - come del resto tutte le discipline – nel nome e nei contenuti. L’ultimo cambiamento nel nome è dovuto alla Legge finanziaria del 2022 (n. 234/2021) che ha introdotto la figura dello specialista di educazione motoria nella scuola primaria per le classi quinte e nel prossimo anno scolastico 2023-24, anche per le classi quarte. La potranno insegnare soltanto i laureati in scienze motorie o i docenti generalisti in possesso del doppio titolo. Permangono molte questioni problematiche che non approfondiremo in questa sede. Gli specialisti entreranno a regime nella scuola primaria previo superamento di un concorso (ad oggi non ancora bandito), grazie al quale saranno equiparati ai docenti del medesimo grado. I docenti generalisti che ancora insegnano educazione fisica nelle classi quarte e quinte verranno sostituiti dagli specialisti. Si tratta di una questione che ha un impatto sull’orario di lavoro e l’organizzazione didattica che sarà da gestire; una seconda questione riguarda il nome. Nel DPR 254/2012 - nel linguaggio comune le Indicazioni Nazionali - la disciplina si chiama educazione fisica; questa è la norma prescrittiva cui tutti (generalisti e specialisti) devono fare riferimento in quanto a profilo (che è di tutte le discipline), traguardi per lo sviluppo di competenze e obiettivi di apprendimento (specifici per l’educazione fisica). Per comodità qui utilizzeremo il termine educazione motoria perché più vicino al linguaggio comunemente utilizzato in riferimento alla disciplina.
L’educazione del e al movimento
Nell’infanzia il gioco e più in generale la fisicità sono i canali principali attraverso i quali i bambini attivano i processi di apprendimento. Non a caso si dice che giocare sia il “mestiere” di ogni bambino.
“Le parole giocare e imparare sono profondamente intrecciate nel mondo quotidiano dei giovani umani. Il compito dell’adulto può essere quello di facilitare la cornice, la situazione, e di fornire gli stimoli alle forme di gioco adatte alla fase evolutiva in atto”. (Mancini, Educatori esperienziali in natura). Attraverso il gioco il bambino cresce, sviluppa le sue funzioni, impara a parlare, ragionare, stare con gli altri, rispettare le regole, risolvere problemi, conoscere il mondo, ecc., un insieme di competenze che non è possibile scindere (per questo motivo nella scuola dell’infanzia non esistono le discipline ma i campi di esperienza). Potremmo quindi dire che attraverso l’educazione al movimento si contribuisce all’educazione integrale dei bambini e delle bambine.
Le forme di gioco proposte all’interno di un percorso di educazione motoria sono generalmente pensate specificamente per attivare abilità specifiche del mondo della motricità (potremmo dire che riguardano l’educazione del movimento), quali il coordinamento motorio, l’organizzazione del proprio movimento in relazione allo spazio, a sé, agli oggetti e agli altri, l’affinamento di diverse abilità specifiche quali lancio, salto, rotolamento, mantenimento dell’equilibrio, assunzione di particolari posture, corsa in velocità, ecc. Le tipologie di gioco proposte sono tipicamente soggette a regole e dunque presuppongono che i bambini abbiano acquisito le competenze di base per l’interazione e siano pronti a vivere i vincoli come cornice necessaria ed essenziale per la realizzazione piena e soddisfacente del gioco. Inoltre, spesso i giochi a regole presuppongono vincitori e vinti: questo significa richiedere ai bambini di vivere il momento del gioco con grande coinvolgimento e implicazione ma anche con la serenità di considerare l’eventuale sconfitta come parte integrante dell’esperienza.
Da questi ragionamenti si evince che l’educazione del movimento è strettamente legata all’educazione attraverso il movimento; il presupposto è che non è possibile rivolgersi solo a una dimensione della persona (nel nostro caso, il corpo), senza avere delle ripercussioni su tutte le altre (l’intero della persona). Da questa consapevolezza deriva la necessità di conoscere meglio le potenzialità di questa disciplina sia sul piano della salute e del benessere dei bambini, sia su quello degli apprendimenti.
Progettare giochi motori
La progettazione di attività motorie, e in particolare giochi, è sicuramente una fase complessa ma anche irrinunciabile, fatta di numerose variabili in equilibrio: si valuteranno le caratteristiche del gruppo classe, in particolare l’età, ma anche il livello di impegno fisico cui sono abituati i bambini, le abitudini di gioco e le esperienze pregresse. Si valuteranno lo spazio a disposizione, il tempo (le ore di motoria sono alla mattina o al pomeriggio?), la qualità e la quantità di strumenti specifici adottati, la disponibilità di ciascuno a partecipare in misura differente, a seconda della propria sicurezza, della propria curiosità, del proprio grado di maturazione.
Una buona progettazione di attività e giochi motori tiene conto, poi, non solo delle attività da “far fare”, ma anche della necessità di offrire un momento, a seguito dell’esperienza in campo, di condivisione e riflessività e certamente può aprire a o essere parte di percorsi interdisciplinari.
Uno sguardo psicomotorio*
*In letteratura il termine “psicomotorio” è per alcuni obsoleto. Tuttavia alcune delle innovazioni dei capiscuola storici della psicomotricità (J.Le Boulch, Vajer, Aucouturier, anni ‘80 del Novecento) sono ancora di grande valore oggi; uno di questi riguarda il termine “psicomotorio” che appare oggi talmente assimilato da non essere più di necessaria esplicitazione (nel senso che quando si dice “motorio” spesso si intende già “psicomotorio”). In questo contributo lo utilizziamo con l’intento di far riferimento esplicito a una importante consapevolezza: quella per cui giocando, il bambino impara e si educa (lo diceva già una importante pedagogista, Maria Montessori).
Progettare e mettere in atto percorsi di educazione motoria presuppone uno “sguardo psicomotorio”, ovvero uno sguardo che riconosca in primis la “natura energetica” della persona, in cui convivono il motore affettivo, il motore della conoscenza e il motore della socialità. Se è vero che il gioco, infatti, è un bisogno primario di ogni bambino e ogni bambina e un loro diritto, che vivono anche nella spontaneità, altrettanto vero è che tale è la ricchezza educativa che si può cogliere nel gioco, accompagnandolo e guidandone alcune potenzialità, che vale la pena proporre le sue forme rituali, le sue architetture, lungo il percorso educativo, non solo corporeo.
Educazione motoria a scuola
A scuola spesso il corpo è frenato, fermato, costretto, reso silente, a volte negato come punizione. Il più delle volte – ammettiamolo – il problema riguarda noi insegnanti e la nostra difficoltà a “gestire” come vorremmo questo spazio, pur essendo consapevoli della sua importanza. Al contrario, l’ora di educazione motoria è solitamente il momento atteso per tornare a sentire e sentirsi, con tutti i ritmi e le velocità di cui i bambini e le bambine sono capaci. È il momento in cui tornare a essere “tutti interi”, prendendo a prestito un’espressione cara ad Alessia Canducci, leggistorie di mestiere.
“I bambini non giocano per apprendere, ma per costruire la propria identità e il piacere non è un mezzo, ma il fine.” (L. Carpi, Educare in natura, Erickson)
Ecco perché bisogna essere cauti, attenti a non fare del gioco motorio un momento di “ricreazione” o un semplice allenamento di competenze fisiche né un mero mezzo per raggiungere specifici apprendimenti, ma un’occasione perché ogni bambino e ogni bambina possa costruire il proprio Sé competente (Nicolodi, 2015, in: L. Carpi, p. 95).
Quali giochi, quali proposte?
Come docente non specialista di educazione motoria, ho sempre cercato di documentarmi su quelli che possano essere gli stimoli corretti da proporre ad alunni e alunne di diverse età, diversi bisogni e caratteristiche. Anche i gruppi, tra l’altro, hanno ciascuno la propria identità, anche questa in evoluzione, e ciò che è ottimale proporre per un gruppo classe potrebbe non esserlo, o non nello stesso momento, per un'altra tipologia di gruppo. Non è dunque semplice improvvisare, né improvvisarsi attenti registi delle attività di educazione motoria.
Ci facciamo accompagnare dalla competenza di Marisa Vicini, psicomotricista, docente e ricercatrice universitaria nell’ambito delle scienze motorie, e proviamo ad analizzare quanto “materiale per crescere e imparare” c’è dietro a un’UdA ben architettata.
Cinque UdA di educazione motoria: dalla palla birichina alla palla battaglia
Marisa Vicini ha proposto cinque Unità di Apprendimento disponibili integralmente su KilometroZero per gli adottanti, dalla classe prima alla classe quinta, che ruotano attorno allo sviluppo competenze motorie e – al tempo stesso – competenze relative alla educazione alla cittadinanza (nello specifico il rispetto delle regole, tema molto presente nel percorso scolastico) attraverso lo sviluppo di giochi che negli anni saranno sempre più complessi, fino ad arrivare, in classe quinta, al vero e proprio gioco di regole della palla battaglia. L’autrice ha scelto volutamente di approdare a un gioco molto conosciuto per mostrare che nulla è banale; che giocare a palla battaglia offe numerosi spunti che sia i docenti specialisti sia i generalisti potranno riprendere anche in aula, o ulteriormente sviluppare in palestra in base al livello di conoscenze e abilità dei propri allievi. Il percorso dalla classe prima, che qui potete scaricare in anteprima, si snoda in modo graduale, rispettoso di bambini che, all’età di 6 anni, spesso non hanno ancora sviluppato competenze sociali adeguate ai giochi di regole, sono ancora in un periodo egocentrico, centrati su di sé e poco disponibili ai vincoli relazionali. Le proposte iniziali si focalizzano dunque sui prerequisiti motori che consentiranno ai bambini, più avanti, di relazionarsi coi compagni e di giocare in gruppo con le adeguate competenze.
Classe prima. La palla birichina
Se diamo uno sguardo ai Traguardi per lo sviluppo delle competenze vediamo che ci si propone l’acquisizione di consapevolezza di sé degli alunni/e attraverso il proprio corpo. Negli Obiettivi di apprendimento leggiamo: “organizzare il proprio movimento nello spazio in relazione a sé, agli oggetti, agli altri…”.
Durante il gioco
Nella descrizione del gioco Palla birichina che caratterizza l’Unità di Apprendimento si colgono la semplicità del gioco, in termini di cornice di riferimento, e al contempo la gradualità delle proposte possibili nel gioco e la molteplicità di variabili che il docente può attivare mantenendo uno sguardo attento sul proprio gruppo classe.
Si “attivano” dunque posture, lanci, movimenti nello spazio e la palla leggera è lo strumento protagonista. Il gioco nella sua forma base non prevede ruoli differenziati, dunque tutti i bambini possono fare le stesse azioni. Nell’UdA, però, si prevedono varianti ed evoluzioni in cui alcuni alunni possano assumere ruoli di conduzione, per esempio, rendendo così il gioco più imprevedibile e divertente. In classe prima si pone attenzione anche a come gestire chi sbaglia o non esegue il movimento o la postura in modo corretto. L’eliminazione non è ancora accolta con serenità da tutti.
Dopo il gioco
L’UdA apre orizzonti che vanno oltre momento ludico per coinvolgere i bambini in un dialogo intergenerazionale sul tema del gioco. La riflessività è attivata allora grazie al dialogo con gli anziani che narrano del proprio modo di giocare durante la propria infanzia e dei propri giochi preferiti, facendo da specchio alle emozioni vissute dai bambini di oggi.
L’UdA accompagna inoltre i docenti nel promuovere la consapevolezza dei bambini rispetto al proprio agire con il corpo e dunque la loro capacità di autovalutazione.
Una scheda di verifica delle abilità infine è utilizzabile dai docenti e supporta le loro ripetute osservazioni, all’inizio, in corso e verso la fine del gioco, permettendo loro di tracciare, nel corso del tempo, quelle evidenze utili all’individuazione di livelli di competenza in ambito motorio.
BIBLIOGRAFIA
Lucia Carpi, Educare in natura. Strumenti psicomotori per l’educazione all’aperto. Erickson 2017.
Christian Mancini, Educatori esperienziali in Natura. Animali, piante, store e attività per l’Outdoor Education. 78EDIZIONI, 2020
Giuseppe Nicolodi, L’educazione psicomotoria nell’infanzia. Lo sguardo come presenza: principi, obiettivi e metodologia. Erickson 2015.
Reference iconografiche: ©Robert Kneschke/Shutterstock
Laura Papetti ha lavorato per anni come progettista editoriale nel settore delle lingue straniere e poi nel settore editoriale scuola primaria. Ha insegnato inglese a studenti di ogni età. Oggi è docente di scuola primaria nella provincia di Monza e della Brianza e collabora con Sanoma Italia in qualità di autrice e consulente editoriale.
Marisa Vicini è autrice da anni per il settore editoriale scuola secondaria di primo grado per Pearson Italia – oggi Sanoma. È laureata in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattative (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano); è dottore di ricerca (Ph.D) in Scienze Pedagogiche (Università degli studi di Bergamo). È abilitata all’insegnamento della psicomotricità funzionale di J. Le Boulch (Università degli Studi di Pavia). È docente a contratto di Tecnica e Didattica del Movimento Umano, Metodologie didattiche, Storia dello sport, e Progettazione educativa presso il Corso di Laurea in Scienze Motorie di Brescia (Medicina e Chirurgia), di Metodi e didattiche delle attività motorie presso Scienze della Formazione Primaria (Università degli Studi di Bergamo). È autrice per Studium di Istituzioni di scienze motorie (2017), e per Marcianum Press di Educazione motoria (0-11 anni). Riferimenti scientifici e normativi, percorsi ed esperienze (2018), e con Francesca Baresi, de Il gioco tra geometria e motricità. Itinerari didattici per i docenti delle scuole dell’infanzia e primaria (2021).