Dall’epidemia di Covid-19 scoppiata nel marzo 2020 ad oggi sono trascorsi solo poco più di tre anni, ma sembrano decenni. Le trasformazioni causate dall’emergenza epidemiologica sono impressionanti per la forza e la velocità con cui si sono imposte e se per alcuni aspetti possono essere considerate positive (per esempio in relazione all’impratichirsi con le nuove tecnologie), per altri hanno comportato la necessità di adattarsi a un’esistenza ancora più precaria rispetto a quella a cui eravamo abituati, nonostante una ormai consolidata frequentazione con le problematiche della società liquida. La scuola è stata investita con particolare durezza dalle conseguenze della pandemia, tanto che bambini, adolescenti, insegnanti e genitori hanno subito negativamente le conseguenze della didattica a distanza e degli anni scolastici vissuti all’insegna dell’elastico: prima a scuola, poi a casa, poi ancora a scuola, quindi di nuovo a casa e così via. Le famiglie sono preoccupate e faticano ad immaginare una soluzione positiva a questa crisi, che non riguarda solo la salute ma anche – se non soprattutto – il nostro futuro socioeconomico. In un contesto di così grande complessità un’organizzazione come la scuola (che risponde del suo agire a livello educativo e formativo per i propri alunni, ma che è investita anche di una grande responsabilità sociale) può contribuire a fare emergere e rinforzare la consapevolezza dell’agire umano attraverso la valorizzazione dell’ascolto e del dialogo, due strumenti fondamentali del vivere comunitario che possono essere riscoperti nella loro straordinaria potenza evolutiva e rigeneratrice attraverso le pratiche dialogiche. 

Il dialogo come modo di interagire è stato approfondito da numerosi studi, che vedono l’interdipendenza delle menti, radicata nella natura umana, capace di permeare e rigenerare le facoltà mentali: la consapevolezza, il pensiero, il linguaggio, la conoscenza, l’assunzione di decisioni. Apprendere e padroneggiare un’adeguata modalità dialogica nella vita professionale e di relazione è un lavoro pragmatico; nell’approccio dialogico invece lo scopo è soprattutto quello di osservare le reazioni dell’altro, perché il dialogo si genera nello spazio del tra, quell’ambiente immateriale e relazionale in cui noi interagiamo a vicenda con gli altri.
Sorprende, spesso, come le persone testimonino un cambiamento del loro atteggiamento di ascolto e di interazione quando si accorgono che il loro interlocutore è autenticamente interessato a quanto stanno dicendo. Questa reazione cambia in primis il modo di essere con sé stessi, il modo stesso con cui noi ci percepiamo, e in breve tempo diviene un vero e proprio stile di vita aperto al confronto arricchente con gli altri. Per conversazione dialogica si intende specificatamente che in quella conversazione vi sia la potenzialità per una persona di sentirsi ascoltata in modo autentico e questo è l'inizio di qualsiasi cambiamento significativo per la singola persona e per la comunità.

Nella convinzione che le pratiche dialogiche possano costituire una risorsa importante per un’organizzazione complessa come la scuola, si è pensato di proporre la creazione di una Rete nazionale delle Scuole Dialogiche. L’idea è nata nell’ambito del corso di perfezionamento in “Pratiche Dialogiche nelle Organizzazioni complesse/facilitatore del dialogo per team e gruppi” dell’Università di Pisa, coordinato dal professor Marco Braghero, un percorso di alta formazione assai innovativo al quale l’autore di questo articolo ha partecipato tra febbraio e novembre dell’anno corrente. Intorno alla metà del cammino formativo, nell’estate del 2021, è apparso evidente che l’efficacia delle pratiche dialogiche potrebbe essere proficuamente adottata in ambito educativo e con particolare valore a scuola per affrontare tematiche complesse sia a livello emotivo-relazionale, sia a livello organizzativo-gestionale. Tra gli operatori scolastici presenti (dirigenti, insegnanti ed educatori) si è condiviso che i tempi fossero maturi per mettere al servizio delle scuole che desiderano sperimentare le pratiche dialogiche una rete che avesse un afflato nazionale, aperta anche ai contributi delle agenzie educative del terzo settore e di altri enti istituzionali (in particolare i comuni). 

L’aspetto più interessante e generativo, per le scuole, dell’approccio dialogico è la possibilità di spostare lo sguardo ponendo l’attenzione sul processo in luogo del prodotto, purtroppo ancora al centro dell’azione didattico-educativa degli istituti di ogni ordine e grado del nostro Paese. Concentrarsi sul processo invece che sul contenuto significa riprendere in chiave pedagogica la lezione di Galileo, il padre del moderno metodo scientifico: quello che conta non è il risultato, che può anche essere errato nelle conclusioni rispetto alle premesse se i dati sono imprecisi, ma il percorso che lo ha generato. Parte delle scoperte del grande pisano a livello scientifico sono risultate sbagliate alla luce delle ricerche successive, ma ciò che è apparso rivoluzionario per le generazioni future è l’avere aperto una strada che altri hanno potuto percorrere per giungere alla meta della risposta esatta (almeno per il tempo e lo spazio in cui è stata formulata, secondo il principio di falsificabilità). Lo stesso vale per il processo dialogico: non è dirimente giungere per forza alla soluzione del problema, bensì tollerare l’incertezza e accogliere il pensiero dell’altro senza giudicarlo, rilanciando continuamente il dialogo attraverso domande aperte. Sarà il processo a prendersi cura delle persone che fanno parte di quella data organizzazione complessa e a migliorare il contesto comunitario in cui agiscono, attivando un circolo virtuoso per fare emergere la consapevolezza e promuovere un clima di fiducia. Come canta Franco Battiato, con mirabile sintesi poetica: non domandarmi dove porta la strada, seguila e cammina soltanto

Un allevatore e un contadino, abitanti di un piccolo villaggio ebraico, si rivolgono al loro rabbino perché litigano da tempo e vogliono dirimere una volta per tutte la questione affidandosi alla saggezza talmudica. Il primo litigante inizia a perorare la sua causa: “Rabbi, il mio vicino fa passare tutti i giorni le sue pecore sulla mia terra e così facendo rovina i miei germogli, causandomi un grave danno. Non è giusto”. Il rabbino dice: “Hai ragione!”. Il secondo litigante si alza in piedi e con foga espone le sue considerazioni: “Rabbi, attraversare la sua terra è l'unico modo per raggiungere lo stagno dove fare abbeverare le mie pecore e se così non facessi morirebbero di sete. Da secoli vige la consuetudine per noi pastori di esercitare il diritto di passaggio sulle terre che circondano il luogo dell'abbeverata pertanto deve valere anche per me”. Il rabbino assente gravemente e poi esclama: “Hai ragione!”. L’inserviente, che stava pulendo la sinagoga dove si svolgeva il confronto, guarda sorpreso il rabbino e poi dice: “Ma rabbi, non possono avere ragione entrambi”. E il rabbino risponde: “Hai ragione!”.

Un buon operatore dialogico che agisce in una organizzazione complessa dovrebbe porsi non equidistante bensì equiprossimo rispetto alle persone che incontrerà nel suo complesso mestiere (nel significato etimologico di “mettersi al servizio”). Siamo abituati a ragionare in modo dicotomico: o si ha ragione o si ha torto, non esiste nel sentire comune una terza via. Il rabbino della storiella ebraica ci dice invece che è possibile andare oltre questo rigido schema e soprattutto ci fa intuire che quando si litiga non è necessario che ci sia per forza un giudice che decida chi ha ragione. Testimonia che se le parti sono accompagnate a riconoscersi reciprocamente come portatrici di differenti preoccupazioni e sono messe in grado di osservare le ragioni dell'altro, grazie alla facilitazione dialogica possono entrare in relazione, rigenerare i legami sfilacciati e giungere autonomamente a trovare una soluzione creativa alla fatica emotivo-relazionale che spesso caratterizza le nostre comunità. È una soluzione controintuitiva a cui non siamo abituati, che ha bisogno di essere continuamente rilanciata e sostenuta come stile di vita – come si è già detto – in una società sfibrata dalla paura a causa di una pandemia che fatica a lasciarsi alle spalle, incattivita dalla precarizzazione del lavoro e con prospettive di crescita economico-sociale quantomeno vaghe, può donarci una visione innovativa che apre alla speranza. Nel prossimo futuro post-pandemico anche e forse soprattutto a scuola ci sarà ancora più bisogno di facilitatori del dialogo autentico, che aiutino piccoli e grandi ad affrontare con buona competenza sociale le situazioni problematiche a livello interpersonale e di gruppo affinché si possa riscoprire il calore della solidarietà e la possibilità di fidarsi dell'altro.

Il filosofo Ermanno Bencivenga, nel racconto sapienziale Le due scuole (contenuto in La filosofia in ottantadue favole, Oscar Mondadori, 2017), descrive due modelli di scuola assai differenti tra loro: nel primo approccio si insegnano solo cose vere, nell’altro ognuno può affermare quello che vuole. Pur nel registro del paradosso, per l’autore si può scorgere nel secondo esempio una scuola attenta al processo e non concentrata sul contenuto/prodotto e proprio per questa caratteristica l’unica che possa definirsi autenticamente tale. Mi piace pensare che così debba essere una scuola dialogica: un’organizzazione complessa che tende a rinforzare i legami proprio nel momento in cui accetta il rischio dell’incertezza e si apre al molteplice, perché per fare crescere il potenziale umano, promuovere il ben-essere e vivere in agio in comunità – direbbe Carl Rogers – evitando dogmatismi religiosi, ideologici e scientifici, è bene fidarsi del processo, mantenere la visione

Si racconta che uno studente chiese all’antropologa Margaret Mead quale fosse il primo segno di civiltà. La risposta fu “un femore rotto e poi guarito”. Questo, infatti, significa che qualcuno si è preso cura di chi ne aveva bisogno. L’aneddoto, che sia autentico o apocrifo, ci ricorda che nei rapporti tra le persone 2 + 2 raramente ha come prodotto 4: può dare 3 o anche meno, oppure 5 o più. Il risultato dipende da noi e dalla qualità delle relazioni umane che siamo riusciti a co-costruire. La facilitazione nelle pratiche dialogiche contribuisce a fare in modo che il frutto di questa addizione relazionale possa dare una somma superiore a quella delle parti, favorendo la cooperazione consapevole tra le persone e dunque attivando e promuovendo il ben-essere della comunità di cui si è parte.

La rete nazionale

Questo articolo è un messaggio in bottiglia: il Liceo umanistico “Giuseppe Parini” di Seregno (MB), di cui l’autore è dirigente scolastico, è stato designato come scuola capofila della nascente Rete nazionale delle Scuole Dialogiche (RSD). 

La rete si è data i seguenti obiettivi prioritari:

  • promuovere la conoscenza della rete sul territorio nazionale e aumentare progressivamente il numero delle scuole aderenti (attualmente sono una trentina);
  • progettare e realizzare attività e occasioni di sensibilizzazione/formazione di qualità nell’ambito delle pratiche dialogiche, aperte a tutti i partner della rete;
  • creare un archivio delle buone pratiche dialogiche da mettere a disposizione di tutte le scuole italiane e delle altre agenzie educative, fornendo inoltre consulenza sui temi inerenti la dialogicità.

Nell’ottobre del 2022 si è tenuta ad Agrigento la prima edizione del Convegno nazionale delle Scuole Dialogiche, durante il quale gli istituti della rete hanno potuto incontrarsi in una intensa tre giorni di scambi di informazioni ed esperienze sul tema della dialogicità. Coltivare la cultura del dialogo, la seconda edizione del Convegno, si terrà a Bergamo dal 20 al 22 ottobre 2023. Per conoscere il programma si può consultare il sito della rete (Vai al sito della Rete nazionale delle Scuole Dialogiche >>) dove si trova anche utile materiale di approfondimento. Se qualcuno volesse sapere di più sulle pratiche dialogiche e sulle opportunità di crescita umana e formativa che possono favorire per alunni, docenti e genitori, è inoltre possibile contattare l’autore che sarà lieto di aiutarvi a sciogliere i dubbi e rispondere alle domande.

NOTE BIBLIOGRAFICHE

1Rielaborazione di una storiella tradizionale ebraica

  •  Arnkil, T., Seikkula, J., (2013), Metodi dialogici nel lavoro di rete. Per la psicoterapia di gruppo, il servizio sociale e la didattica, Trento, Erickson
  • Bohm, D., (2014), Sul Dialogo, Pisa, Edizioni ETS
  • Seikkula, J. (2014), Il dialogo aperto. L’approccio finlandese alle gravi crisi psichiatriche, Giovanni Fioriti Editore 

 

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